L’economista francese, ospite a “Tor Vergata”, riconosce l’importanza del Prodotto Interno Lordo ma le policy di governo necessitano di altri indicatori per misurare il benessere e il progresso sociale
Il terzo incontro nell’ambito delle celebrazioni per il Trentennale della Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” ha avuto come protagonista, mercoledì 16 maggio, l’economista francese Jean Paul Fitoussi, con una lecture intitolata “Mismeasurement of our lives”.
A introdurlo il preside della Facoltà di Economia Giovanni Tria, che ha illustrato la carriera di Fitoussi, professore all'Istituto di Studi Politici di Parigi (IEP – SciencesPo) e alla Luiss di Roma oltre che “tra i più importanti amici della Facoltà e animatore dell’International Economic Seminar di Villa Mondragone”, in quanto membro dell’ International Economic Association (VMEA), promossa dalla “Fondazione Tor Vergata Economia”, che mira a sviluppare e coordinare la diffusione di informazione e conoscenza sull’economia europea ed internazionale.
Jean Paul Fitoussi è stato uno dei tre redattori, insieme ai premi Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz e Amartya Sen, del testo “Mismeasurement of our lives”, che indaga i limiti delle misure del benessere fondate sul PIL. Il testo è frutto del lavoro svolto nel 2008 sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy, che invitò i tre studiosi a istituire una commissione di esperti per rispondere alla domanda se il PIL fosse ancora un indicatore affidabile del progresso economico e sociale e per sviluppare metodi di misurazione migliori.
Grazie a questo libro, l’economista francese nel 2016 ha ricevuto un premio insieme agli altri autori e come ha sottolineato lui stesso “il premio di cui sono più fiero è la medaglia della Società per il Progresso”. Il professore ha poi esposto il problema chiave al centro dello studio: “Non sappiamo ancora misurare quello che accade in Europa. Il PIL è importante, ma come spiegare il fatto che il PIL cresce quando il benessere decresce? Basti pensare all’aumento della violenza dovuto al terrorismo che ha fatto crescere il PIL con l’aumento delle assunzioni”.Risulta che il PIL è importante come indicatore della variazione dell’occupazione ma non riesce a misurare il benessere reale. “Il PIL ha dei limiti e noi dobbiamo misurare anche ciò che le statistiche non fanno vedere – ha specificato Fitoussi – Il PIL è una media e nessuno si riconosce in una media. La media non cambia quando la disuguaglianza aumenta”.
Fitoussi ha espresso la necessità per i governi di “avere un'altra metrica per capire cosa accade all'economia produttiva perché ci sbagliamo su quello che produciamo, su cosa è importante e cosa no. C'è una cosa che non misuriamo con il PIL che è importante in termini di percentuale di produzione e cioè la produzione fuori il mercato come quella del latte materno. Se la contiamo arriviamo al 30% del PIL”. Fino ad oggi – ha aggiunto – abbiamo indicatori, non misure robuste e credo che l’indicatore della speranza di vita sia un indicatore forte per la sanità perché ci fa vedere il PIL in un altro modo”. Anche l’indicatore della disuguaglianza può rivelarsi utile, “affinché i governi non guardino solo alla crescita dei redditi della grande maggioranza, per arrivare poi a preferire la crescita minore ben distribuita piuttosto che la crescita alta mal distribuita”.
La metrica del benessere ha innescato un dibattito forte tra una concezione oggettiva (fattori che determinano il benessere come libertà, istruzione, condizioni ambientali) ed una soggettiva, cioè il sentimento della gente in termini di vita soddisfacente e felicità. Fitoussi osserva: “Se diamo fede solo alle indagini soggettive cadiamo in facili conclusioni. I sondaggi sono costosi e utilizzando i big data non otteniamo gli stessi risultati dei sondaggi. Dobbiamo studiare ancora in questo senso”. L’ultimo problema che il professore ha messo in evidenza è stato quello della sostenibilità, per “lasciare alla generazione successiva lo stesso livello di capitale di cui abbiamo goduto. Per capitale intendiamo quello sociale, politico (il grado adesione alla democrazia) e il capitale naturale che non sappiamo misurare pur disponendo di indicatori fisici”. Ha poi concluso dicendo: “Il capitale umano è molto importante. La politica di austerità dovrebbe considerare gli effetti che ha sul capitale umano; la disoccupazione deve essere contata come costo della politica. Spesso sappiamo che il disavanzo pubblico diminuisce di un punto senza sapere se il capitale umano diminuisce di 10 punti. I governi devono riflettere su questo”.
A conclusione del dibattito l’intervento del prof. Leonardo Becchetti che, ricordando il Rapporto Mondiale sulla Felicità dell’ONU, ha spiegato come “misurare la felicità, il soggettivo, sia fondamentale per comprendere le aspettative delle persone. Cosa vuol dire il dato medio della disoccupazione in Italia? Siamo ancorati a indicatori statistici che non hanno più senso e quindi dobbiamo approfondire”. Nota positiva il fatto che l’Italia nel Documento di Economia e Finanza (DEF) abbia inserito i 12 indicatori di benessere equo e sostenibile (BES) e sia stato il primo paese dell’Unione europea e del G7 a includerli nella propria programmazione economica, oltre al Prodotto interno lordo (PIL). Becchetti ha inoltre precisato che “il soggettivo serve a capire cosa ci siamo persi e spesso influenza gli indicatori oggettivi. Per questo, identità, generatività e bene comune devono rientrare nelle future policy di governo”.