Lo studio di Tor Vergata-EPFL su PNAS
Un modo per determinare l’esistenza di una qualche forma di vita su un altro pianeta è quello di “leggere” la luce diffusa dall’ atmosfera del pianeta stesso alla ricerca di “firme biologiche”, ovvero gas come ossigeno, metano e azoto. Gli scienziati dell' Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e dell' Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL) hanno sviluppato un modello statistico originale in modo da poter interpretare i risultati della ricerca di eventuali segni di vita. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale PNAS, Proceedings of the National Academy of Sciences con il titolo “Quantifying the information impact of future searches for exoplanetary biosignatures”.
Ph. Credits: ESO/Y. Beletsky
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Gli astronomi stanno cercando di scoprire se c'è vita su un pianeta lontano analizzando la luce che viene diffusa dall'atmosfera degli esopianeti, ovvero i pianeti che orbitano attorno a una stella diversa dal Sole. Parte di quella luce, che proviene dalla stella attorno a cui orbita l’esopianeta, ha interagito con la sua atmosfera e può quindi fornire importanti indizi sui gas che essa contiene. Tali gas sono noti come “firme biologiche”. Il rilevamento di gas come ossigeno, metano oppure ozono, potrebbe indicare la presenza di organismi viventi. Lo studio intitolato “Quantifying the information impact of future searches for exoplanetary biosignatures” dimostra come gli scienziati abbiano sviluppato un modello statistico che può aiutare gli astronomi a interpretare i risultati della ricerca di questi “segni di vita”.
Da quando il primo esopianeta è stato scoperto 25 anni fa, ne sono stati identificati più di 4.300. E l'elenco è ancora in crescita: ne viene scoperto uno nuovo ogni due o tre giorni. Circa 200 degli esopianeti trovati finora sono rocciosi e di dimensioni simili alla Terra. Sebbene questo non sia l'unico requisito affinché un pianeta sia in grado di ospitare la vita - deve anche avere acqua liquida e trovarsi a una certa distanza dal suo sole - è uno dei criteri che gli astronomi utilizzano per focalizzare la loro ricerca. Nei prossimi anni, l'uso della spettroscopia dei gas per rilevare le firme biologiche nelle atmosfere degli esopianeti diventerà un elemento sempre più importante dell'astronomia. Molti programmi di ricerca sono già in corso in quest'area, come il satellite CHEOPS per la caccia agli esopianeti, entrato in orbita nel dicembre 2019, e il telescopio ottico James-Webb, che dovrebbe essere lanciato nell'ottobre 2021.
Dall’intuizione al calcolo statistico
Quali sono le implicazioni relative alla ricerca di fime biologiche esoplanetarie? Come interpretare i risultati? Cosa significa quando viene rilevata una sola firma biologica su un pianeta? E se non ne viene rilevata nessuna, quale conclusione dovremmo trarre? Gli scienziati di Roma “Tor Vergata” e dell’EPFL intendono rispondere a questo il tipo di domande con un nuovo modello statistico, affrontando il problema da una nuova angolazione.
«Non sappiamo se la vita è comune nell’universo e sebbene in futuro potremo studiare più in dettaglio gli esopianeti più vicini, non potremo certo osservare tutti i mondi potenzialmente abitabili della galassia», spiega Amedeo Balbi, professore di Astronomia e Astrofisica presso il Dipartimento di Fisica di “Tor Vergata”. «Intuitivamente ha senso pensare che nel momento in cui dovessimo trovare “segni di vita” su un altro pianeta, diventerebbe più probabile che ne esista un gran numero nella galassia, e la questione sarebbe ipotizzare su quanti pianeti».
Il modello sviluppato dagli scienziati trasforma infatti il presupposto intuitivo in un calcolo statistico e consente di determinare esattamente il significato dei risultati in termini di quantità e frequenza. Usando la statistica bayesiana, particolarmente adatta a questo tipo di indagine, gli scienziati hanno calcolato la probabilità di vita nella nostra galassia in base al numero di firme biologiche rilevate: una, diverse o nessuna.
«Alcuni scienziati sono più ottimisti di altri sulla possibilità di vita nell’universo - prosegue Balbi. «Con il nostro nuovo metodo, cerchiamo di capire come questi punti di vista verrebbero modificati dalle osservazioni che saremo in grado di fare nei prossimi decenni».
«Gli astronomi utilizzano già varie ipotesi per valutare quanto sia credibile rintracciare forme di vita su un dato pianeta», afferma Claudio Grimaldi, scienziato presso il Laboratorio di Fisica della Materia Complessa (LPMC) dell'Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne e affiliato al Centro Studi e Ricerche “Enrico Fermi”di Roma. «Uno dei nostri obiettivi di ricerca era quindi quello di sviluppare un metodo per pesare e confrontare tali ipotesi alla luce dei nuovi dati che verranno raccolti nei prossimi anni».
L’ipotesi della panspermia
Dato il numero esiguo di pianeti che saranno probabilmente esaminati nel prossimo futuro e supponendo che la vita emergerà indipendentemente su ciascun pianeta, lo studio di “Tor Vergata” e EPFL ha dimostrato che se venisse rilevata anche una sola firma biologica, potremmo concludere, con una probabilità maggiore del 95%, – affermano Balbi e Grimaldi – che i pianeti abitati nella galassia siano più di 100.000, cioè più del numero di pulsar (oggetti creati quando una stella massiccia esplode alla fine della sua vita). D'altra parte, proseguono gli scienziati, qualora non venissero rilevate firme biologiche non potremmo necessariamente concludere che altre forme di vita non esistano altrove nella Via Lattea.
Gli scienziati hanno anche preso in considerazione l’ipotesi della “panspermia”, secondo la quale invece di emergere indipendentemente su ciascun pianeta, la vita potrebbe diffondersi tra pianeti vicini, ad esempio attraverso la materia organica o organismi microscopici trasportati su comete. Ciò implicherebbe che la probabilità di vita su un pianeta dipenda anche da quanto è lontano dagli altri pianeti e da quanto facilmente varie forme di vita - le cui caratteristiche fisiche potrebbero essere estremamente diverse da quelle a noi familiari - sono in grado di resistere alle condizioni estreme dello Spazio, di viaggiare e adattarsi al nuovo pianeta. «Tenere conto dell’ipotesi di panspermia altera le deduzioni sul numero di pianeti abitati che potrebbero esistere altrove nella galassia», concludono gli scienziati.
Leggi l’articolo scientifico “Quantifying the information impact of future searches for exoplanetary biosignatures”,PNAS - Proceedings of the National Academy of Sciences Aug2020, 202007560; DOI:10.1073/pnas.2007560117
Amedeo Balbi - Dipartimento di Fisica, Università di Roma “Tor Vergata”
Claudio Grimaldi - Laboratory of Physics of Complex Matter, Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne e Centro Studi e Ricerche “Enrico Fermi” di Roma
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A cura dell’ Ufficio Stampa di Ateneo