L’immigrazione vista con gli occhi dei ragazzi: solo la conoscenza può vincere la paura
Venerdì 22 marzo l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” ha proposto ai propri studenti e ai ragazzi delle scuole superiori – erano presenti gli alunni dei licei Augusto di Roma, Falcone e Borsellino di Zagarolo e Spallanzani di Tivoli e dell'istituto superiore Jean Piaget di Roma – un momento di riflessione sul fenomeno dell’immigrazione, affrontato con gli occhi dei giovani che, dopo aver sostenuto la separazione dalle proprie famiglie di origine e un lungo viaggio, ora sono in Italia per costruirsi un futuro.
“Migrazioni. Un viaggio verso il futuro” è stato il titolo dell’iniziativa nata dall’esperienza di un workshop proposto a migranti minori non accompagnati residenti a Siracusa, dal quale è scaturito il documentario “Tumaranké”, la cui visione è stata sottoposta ai presenti. Tumaranké è una parola della lingua bambara che definisce “chi si mette in viaggio alla ricerca di un futuro migliore”. I giovani “viaggiatori” sono i protagonisti di questo documentario. Sono minori, sono soli e arrivati da poco in Italia. Dopo un workshop di educazione all’immagine e visual storytelling durato un anno, attraverso la lente del loro smartphone si raccontano e riprendono la realtà dal loro personalissimo punto di vista. Ne esce uno spaccato della loro vita in Italia, la comunità dove risiedono, le nuove amicizie, i sogni, le fragilità, i momenti di solitudine, e poi l'inserimento in un nuovo paese dove giorno dopo giorno, mentre imparano una lingua, scoprono e ci fanno scoprire una cultura dell’inclusione possibile, gettando così le fondamenta per un futuro comune. Tumaranké è un film collettivo realizzato dal progetto Re-future ed è composto quasi interamente dai video realizzati dai ragazzi con il loro stesso smartphone.
Ad introdurre la mattinata è stata la prof.ssa Marina Formica, delegata del Rettore alle iniziative culturali, che ha ricordato come i flussi migratori non siano un fenomeno solo contemporaneo ma facciano parte della storia dell’umanità. Il Rettore Giuseppe Novelli, nel salutare i ragazzi presenti, ha esordito con una citazione di Martin Luther King: “un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio andò ad aprire e vide che non c’era nessuno”. “Portare nella nostra Università, da sempre sensibile a queste tematiche, il documentario girato dai ragazzi – ha proseguito Novelli – serve proprio a farci conoscere direttamente la realtà, senza i filtri dei media e dei social network. E la conoscenza ci permette di avere gli strumenti per affrontare le questioni, con coraggio, senza paura. Perché è solo ciò che non si conosce che fa paura e il nostro compito – come Università – è quello di dare gli strumenti per aprire quella porta e non trovare nessuno. È quello di rendervi liberi”.
Camilla Paternò e Marta Tagliavia, autrici del documentario, hanno fornito ai presenti le chiavi di lettura del video, girato da ragazzi tra i 15 e i 18 anni, arrivati da Paesi lontani e che si sono trovati a vivere in Sicilia. Sono tutti minori rifugiati non accompagnati, che hanno partecipato a un workshop per imparare a usare il cellulare – che tutti hanno per poter comunicare coi propri genitori, unico punto di contatto con la loro famiglia – come strumento di racconto della loro vita in Italia. “Lasciatevi pervadere da questo flusso di immagini – hanno detto – immedesimatevi nel vissuto di questi ragazzi”.
Al termine della proiezione Mor Ndiaye, uno dei ragazzi che ha girato il documentario con il proprio cellulare, ha salutato i giovani presenti, ringraziandoli e dicendosi “felice ed emozionato di essere davanti a voi a presentare il film”.
La giornalista Cristina Giudici ha aperto le riflessioni definendo il video il simbolo della migliore accoglienza: “per combattere una frantumazione sociale bisogna favorire la coesione, favorire modelli positivi. I ragazzi hanno bisogno di speranza, dobbiamo aiutarli a esprimersi”.
“Ama il prossimo tuo come te stesso” ha detto Padre Francesco Occhetta, gesuita e notista politico della rivista Civiltà Cattolica, “se muore questo comandamento inizia la paura e il rifiuto dell'altro. Di fronte alle negatività del mondo abbiamo due possibilità: o ci muoviamo a compassione o l’altro diventa nemico”. Padre Occhetta ha sollecitato i ragazzi a fare esperienze tra chi è diverso da noi, per scoprirne sia le ricchezze che le problematiche. E ha poi aggiunto: “dobbiamo imparare a pesare l’uso delle parole, soprattutto sui social network, perché le parole possono costruire ma possono anche distruggere. I cellulari sono meravigliosi ponti per entrare in dialogo con nuove culture, ma se ne diventiamo schiavi ci isolano e ci incattiviscono. Dobbiamo invece impegnarci, anche con questi nuovi strumenti, per costruire una comunità in cui vivere e convivere, in cui non solo accogliere ma anche e soprattutto integrare”.
Padre Camillo Ripamonti, Presidente dell’Associazione Centro Astalli, il servizio dei gesuiti per i rifugiati in Italia, si è ricollegato alla fine del documentario, in cui Mor ringrazia gli italiani per averlo accolto: “anche
noi dovremmo dire grazie a chi arriva nel nostro Paese perché ci apre il mondo, ci fa vedere la realtà che ci circonda da un’altra prospettiva”. “Il documentario – prosegue il gesuita – racconta la quotidianità attraverso il cellulare, uno strumento vitale per questi ragazzi, l’unica via per mantenere relazioni con la vita che hanno lasciato, a volte anche in maniera violenta”. Riprendendo poi quanto detto in apertura dal Rettore Giuseppe Novelli: “La paura non va sottovalutata né va cavalcata, deve essere guidata. Anche chi arriva ha paura, ma questa si può vincere se la riconosciamo e la affrontiamo insieme. La paura si vince incontrando le persone. L’integrazione, infatti, non è solo insegnare come si sta nel nostro Paese, ma è anche saper ascoltare il bagaglio culturale di chi arriva: un passo ciascuno verso l’altro per andare da un’altra parte, insieme”. “L’impegno – ha concluso Padre Rigamonti – è quello di costruire una pace sociale, una comunità di tutti. Purtroppo il clima è cambiato negli ultimi anni, dobbiamo tutti impegnarci a invertire la rotta”.
Al termine della mattinata, prima degli interventi degli studenti, ha preso la parola il dott. Ngnaso, medico italiano originario del Camerun, che ha raccontato la storia della sua famiglia sparsa per il mondo e, tra l’ironia e l’amarezza, ha spiegato ai ragazzi che, pur essendo italiano a tutti gli effetti, è considerato sempre e comunque uno straniero. “Molti sono ancora i passi da fare per costruire una società realmente multiculturale. La speranza, per questo, sta tutta nei giovani”.