Perfezionare la didattica da remoto è cruciale. Presso Ingegneria si sperimenta una innovativa app per gestire il feedback degli studenti
Come tutte le grandi intuizioni, arriva all'improvviso. E lo fa nel momento in cui è più importante la ricerca di nuove regole, tecniche e tecnologie per la didattica, che a giudicare dagli ultimi sviluppi in tema di Covid, dovrà proseguire in molti casi in modalità remota. Se da un lato questo non rappresenta una novità per studenti e docenti, che ormai sembrano aver acquisito le basi tecniche di tale confronto, dall'altro resta il fatto che il dibattito sulla reale efficacia di una simile modalità sia ancora in corso.
Mentre infuria la polemica, qualcuno all'improvviso alza la mano e propone una soluzione di facile realizzazione e straordinaria efficacia, qualcosa che aiuti a capire cosa pensano gli studenti, come approcciano le lezioni, con che ritmo assimilano, assieme a un'altra serie di parametri che aiutano il docente a tracciare una preziosissima “mappa” del proprio lavoro. Parliamo del Prof. Max Schiraldi, docente di Operations management presso il Dipartimento di Ingegenria dell'Impresa dell'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", vale a dire la persona che sta cercando di sondare le frontiere dell'insegnamento innovativo. Vivendo in prima persona la difficoltà della didattica a distanza, dovendo tenere lezioni per i suoi studenti del quinto anno del corso in /Production Management/, il prof. Schiraldi ha deciso di sperimentare un'applicazione che gli restituisce, in forma anonima, il grado di coinvolgimento della classe e il livello di attenzione della stessa. Il tutto grazie a "Edu Enhancement", una nuova tecnologia che sta testando in anteprima in Italia, sviluppata da una società svizzera: si tratta di un'app che combina nozioni di Scienze comportamentali e Machine Learning, alla cui creazione hanno collaborato psicologi, pedagogisti e sociologi.
"Il problema nasce ovviamente dalla teledidattica per il Covid – ha spiegato il Professore in recenti interviste rilasciate sia a Repubblica che a Il Messaggero – per quanto io usi simultaneamente diverse tecnologie di erogazione che supportano lo studente prima e dopo la lezione (Teams, Stream, Eiduco, Moodle...) l'efficacia della lezione in sè è comunque bassissima, soprattutto perchè non ho il feedback da parte degli studenti: io parlo ad un monitor, non li vedo in volto, non riesco a interpretare il loro sguardo per capire se vado troppo veloce, se un concetto è chiaro o no. Insomma, l'interazione è quasi nulla, quindi è molti difficile tarare la lezione sulle loro esigenze". E qui entra in gioco l'app: lo studente è inizialmente chiamato a compilare un questionario volto a determinare i principali tratti della personalità individuale e poi, dopo ogni lezione, a rispondere in 80 secondi a una serie di domande. L'algoritmo converte in automatico i risultati del questionario in grafici personalizzati disponibili sia al docente che agli studenti. "Non solo riesco a capire se hanno capito – prosegue il Professore – ma se il ritmo della lezione e dei concetti che spiego è adeguato ai loro ritmi di apprendimento, se tratto la materia in maniera troppo complessa o, al contrario, troppo semplice rispetto a quello che si aspettano. Un esempio? Il primo giorno ho illustrato il programma del corso e la classe era all'85% in self confidence; il secondo giorno ho spiegato un caso aziendale difficile e l'indice è sceso al 33%. Poi è risalito. Ma intanto ho capito che dovevo tornare su quel caso, renderlo più comprensibile".
Il test, ricordiamo, garantisce l'anonimato, dato che Il professore può accedere solo ai dati generali della classe e valutare così una serie di indici che vanno dal self confidence – che si riferisce al principio per cui gli studenti si impegnano di più quando si sentono all'altezza del compito da svolgere – fino al grado di fiducia che lo studente ripone nella figura del docente, passando per altri aspetti come lo stato emotivo che il discente si trova a vivere, la motivazione, il grado con cui il corso fornisce competenze in relazione agli obiettivi richiesti, l'interesse generale e le relazioni che si costruiscono all'interno del corso stesso, sebbene svolto a distanza.
Sulla questione generale, Schiraldi è categorico: "La lezione va tenuta in aula. Non potendolo fare per forza maggiore è compito del docente cercare di integrare e perfezionare le metodologie didattiche per riconnettersi coi ragazzi. Per come la vedo io, il nuovo strumento risulta molto efficace, dato che mi permette di fare lezione nella maniera migliore". Volendo immaginare di adattare la tecnologia anche agli ordini scolastici minori, potrebbe funzionare? “Se parliamo di aule scolastiche – chiarisce il Professore – andrebbe ovviamente rimodulata. In un'aula universitaria gli studenti sono adulti, hanno meno inibizioni a segnalare i dubbi e a chiedere maggiori spiegazioni. Inoltre sono più predisposti all'apprendimento: hanno scelto loro di studiare e di seguire quel corso specifico. A scuola non è così: devi prendere per mano lo studente, devi incentivarlo. Altrimenti lo perdi. La popolazione studentesca è diversificata: a scuola ci sono maggiori differenze da considerare tra i ragazzi. Ma potrebbe avere potenzialità diverse: un'app simile riesce infatti anche a mettere in evidenza i bisogni educativi speciali e la necessità di un supporto adeguato per il singolo studente. Abbiamo strumenti digitali potenti, usiamoli anche per la scuola».
L'ultima considerazione, non certo meno importante, è rivolta a chiunque avanzi dubbi di natura tecnico-economica: “Parliamo di app per lo smartphone, richiedono una banda di trasmissione bassissima”. In altri termini, non ci sono scuse per non sperimentare da subito un'innovazione di grande efficacia a un costo decisamente contenuto.
A cura dell'Ufficio Stampa d'Ateneo