Pubblicato uno studio che fa luce sulle cause della Distrofia Miotonica di Tipo I
Tra le 45 e le 57 mila persone all’anno: è il numero, secondo l’ISTAT, delle morti cardiache improvvise in Italia, pari al 10% della mortalità complessiva, una percentuale superiore a quella dei tumori più diffusi. E sono circa 1000 gli under 35 apparentemente in perfetta salute che si “spengono” – letteralmente – in questo modo.
Uno studio firmato da un gruppo di ricercatori del Laboratorio di Genetica medica di “Tor Vergata”, cui hanno collaborato il CNR e l’IRCCS Santa Lucia di Roma, e pubblicato sul Journal of Molecular and Cellular Cardiology, apre la strada ad una maggiore conoscenza del fenomeno, che potrà, in futuro, permettere l’individuazione di marker utili alla diagnosi precoce anche in soggetti sani, al fine di attuare eventuali interventi e monitoraggi salvavita preventivi e terapie personalizzate.
Lo studio si è basato sulla creazione in laboratorio di cellule staminali embrionali di tipo indotto, ottenute dalle pelle di pazienti affetti da Distrofia Miotonica di tipo 1 (DM1): la forma più comune di distrofia muscolare degli adulti che colpisce non solo i muscoli, ma anche altri organi tra cui il cuore (disturbi della conduzione cardiaca con blocchi atrio-ventricolari che possono portare fino all’arresto cardiaco, aritmie, cardiomiopatie), l’apparato respiratorio con riduzione progressiva della capacità vitale (quantità di aria emessa dopo un’inspirazione forzata) e conseguente necessità di ventilazione meccanica non invasiva, gli occhi (cataratta), le ghiandole sessuali (ridotta fertilità), il sistema endocrino (ipotiroidismo, diabete) e il sistema nervoso centrale (ritardo mentale, disturbi del comportamento).
L’età di esordio della malattia è in genere tra i 15 e i 30 anni, ma c’è grande variabilità nel quadro clinico: si passa da forme congenite, di solito in neonati figli di madri affette, a forme lievi quasi del tutto asintomatiche. Di solito la malattia è tanto più grave quanto più si manifesta precocemente. Le complicanze che più mettono a rischio la sopravvivenza di questi pazienti sono le aritmie, che possono portare a morte improvvisa nel 30% dei casi.
Non esiste ad oggi una terapia risolutiva per questa ragione la disponibilità di cellule “embrionali” dei pazienti potrebbe aprire la strada alla ricerca di nuovi farmaci o riposizionare farmaci già esistenti in maniera efficace e personalizzata. Le cellule staminali ottenute potranno anche essere corrette “geneticamente” in laboratorio e costituire un valido modello di medicina rigenerativa, per contribuire a comprendere le basi biologiche della morte improvvisa.
Per approfondimenti sullo studio: sangiuolo@med.uniroma2.it