La bioplastica derivata dalla buccia del legume ‘povero’ può diventare cerotto per supportare la rigenerazione dei tessuti con cellule staminali e/o fibroblasti da applicare sulle ferite. O per ottenere nuovi biosensori. O per produrre “new food”.
È stata pubblicata nell’ultimo numero di Biomaterials – e riportata tra le news di Materials Today - la ricerca, portata avanti da Sonia Melino, docente di Biochimica del dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche a “Tor Vergata”, per i corsi di laurea magistrale in Chimica e in Scienze dei Materiali, e dal suo team di ricerca, che si focalizza proprio sulla creazione di bioplastiche dalle bucce del lupino.
Creare nuovi materiali bioplastici dagli scarti vegetali della lavorazione del lupino, una sfida interessante. “Nell’ultimo decennio - spiega Sonia Melino - vi è stato un crescente utilizzo del lupino a livello mondiale per le sue proprietà nutrizionali, come alimento a elevato contenuto proteico e di fibre. La presenza di numerose sostanze fitochimiche (lupeolo, polifenoli) rende il lupino un ottimo candidato per la produzione di alimenti funzionali, che hanno cioè un effetto benefico su una o più funzioni biologiche dell’organismo. Diversi studi hanno dimostrato come il consumo del lupino o di alimenti funzionali a base di questo legume portino numerosi benefici alla salute umana, soprattutto riducendo il rischio di malattie cardiovascolari. Attualmente è cresciuto l’investimento industriale sulla produzione di alimenti a base di farina di lupino. Ma tale produzione comporta l’accumulo di una grande quantità di scarto essendo la buccia circa il 25% in peso del lupino”.
“Sviluppare dispositivi a basso costo, facilmente manipolabili e intrinsecamente funzionalizzati, utili sia in campo biomedico, per il riparo e la rigenerazione tissutale, sia per la produzione di cibo di nuova generazione a base cellulare è un promettente campo di ricerca” - commenta Silvia Buonvino, coautrice della ricerca. “Il BPLH (bioplastic from lupin hulls) da noi ottenuto dalla buccia di questo legume è in grado di supportare la crescita e promuovere l’iniziale differenziamento delle cellule staminali umane (hMSC) e di indurre un mio-transdifferenziamento dei fibroblasti del derma umano, rilevante per le fasi iniziali di rimarginazione delle ferite. Il BPLH è stato anche caratterizzato per le sue proprietà chimiche, meccaniche e fisiche mettendo in luce la presenza in essi di molecole antiossidanti in grado di favorire i processi rigenerativi”.
“I materiali da noi ottenuti e studiati” - aggiunge Sonia Melino - “non solo potrebbero essere usati per supportare la crescita cellulare ed eventualmente promuovere la rimarginazione delle ferite, ma il loro campo applicativo potrebbe essere anche quello alimentare sia per food packaging, che per la produzione di nuovi alimenti a base di cellule in cui i due Regni, quello vegetale e animale, si fondono. Inoltre il BPLH possiede caratteristiche che lo rendono ottimale per la realizzazione a basso costo di dispositivi sensoristici biocompatibili. Può essere essiccato e reidratato più volte mantenendo le sue proprietà e microstruttura e può essere conservato per lungo tempo (mesi) a temperatura ambiente senza alcuno stabilizzante”.
Attualmente i ricercatori stanno lavorando per ottimizzare i protocolli di produzione e migliorare le proprietà meccaniche ed elettriche dei nuovi biomateriali derivati dal lupino e non escludono di creare una start-up, per sviluppare e produrre diversi biomateriali utilizzabili in ambito biomedico e alimentare, dando così nuova vita e valore allo scarto vegetale prodotto in modo estensivo.
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