Lo studio, coordinato da “Tor Vergata”, è stato pubblicato su “Scientific Reports”
Lo sviluppo degli inchiostri neri ha permesso alla scrittura di diventare un metodo consolidato di comunicazione e non c'è dubbio che questa innovativa invenzione possa essere fatta risalire all'inizio della "storia" nell'antico Egitto (3200 a.C. circa). Uno studio internazionale, coordinato dal Centro NAST - Centro interdipartimentale Nanoscienze e Nanotecnologie e Strumentazione dell'Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” in collaborazione con il Museo Storico della Fisica e Centro Studi e Ricerche “Enrico Fermi”, il Museo Egizio di Torino, la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Torino, il Consiglio Nazionale delle Ricerche – IPCF/ISTM e la sorgente di neutroni ISIS (Rutherford Appleton Laboratory - Chilton,UK)/Science and Technology Facilities Council (STFC) ha svelato elementi importanti relativi alla composizione di inchiostri neri utilizzati per le iscrizioni su tessuti in lino facenti parte del corredo funerario della tomba egizia dell’architetto Kha e della moglie Merit, datata XV secolo a.C.. La tomba in questione è una delle più importanti scoperte archeologiche in Egitto condotta, nel 1906, nei pressi del villaggio di Deir el-Medina (Luxor), da Ernesto Schiaparelli (1856-1928), allora direttore del Museo Egizio. Il corredo funerario, ad eccezione di pochi oggetti, è stato trasportato a Torino e costituisce ununicum in egittologia, in quanto è il corredo funerario non regale più ampio e completo mai ritrovato.
Sebbene finora un grande sforzo di ricerca sia stato dedicato allo studio dei pigmenti e dei coloranti usati nell'antico Egitto per decorare le pareti e gli arredi delle sepolture, o per scrivere su papiro, poca attenzione è stata prestata alla natura e alla tecnologia degli inchiostri usati sui rituali e tessuti di uso quotidiano, che potrebbero aver favorito il trasferimento della tecnologia dell'inchiostro metallico su supporti di papiro e pergamino.
Lo studio pubblicato su “Scientific Reports”, rivista open access del gruppo editoriale Nature, con il titolo “Egyptian metallic inks on textiles from the 15th century BCE unravelled by non-invasive techniques and chemometric analysis”, ha permesso di identificare la composizione chimica dell’inchiostro nero utilizzato su lino antico egiziano.«Abbiamo osservato che gli inchiostri su questi tessuti hanno un aspetto brunastro e hanno corroso le fibre di lino nella maggior parte dei casi – racconta Giulia Festa, autrice dello studio e ricercatrice del Centro Fermi. Questa evidenza ci ha interessato e ne abbiamo quindi studiato la composizione tramite tecniche complementari». «Si tratta dunque di un inchiostro metallico a base di ferro. Questo tipo di inchiostro potrebbe essere definito come un antenato dell’inchiostro ferro-gallico, il caso più antico mai determinato, la cui introduzione è comunemente attribuita al III secolo a.C.», spiega Roberto Senesi, Centro NAST Roma “Tor Vergata”. Lo studio è stato condotto su 19 tessuti dipinti utilizzando tecniche non invasive quali imaging riflesso ultravioletto (UV), riflettografia nel vicino infrarosso (NIRR), fluorescenza a raggi X (XRF), spettroscopia Raman e spettroscopia gamma. I risultati riguardo ai tessuti ritrovati nella tomba di Kha sono stati confrontati con quelli ottenuti su un frammento del cosiddetto "Libro dei Morti" - una raccolta di incantesimi che permettevano al defunto di navigare attraverso le regioni del mondo sotterraneo - di un altro corredo funerario, quello della principessa Ahmose sempre della XVIII dinastia. «La scoperta colloca l’utilizzo di inchiostri a base di ferro nell’Antico Egitto, fornendo così nuove informazioni e prospettive riguardo alla genesi degli inchiostri nelle antiche culture mediterranee», afferma Giulia Festa. La ricerca dimostra che per produrre un liquido di scrittura nero/marrone non solo sono stati utilizzati i sali di ferro, probabilmente in combinazione con i tannini, ancora da accertare ma è stata aggiunta anche l'ocra ottenendo coloranti neri simili a quelli che venivano impiegati dagli indiani Navajo all'inizio del XX secolo. «I nostri risultati – continua la ricercatrice - suggeriscono che gli antichi egizi usavano un tipo di miscela simile già 3.400 anni fa. Perché questa miscela è stata impiegata non è noto, probabilmente è legato alla resistenza di questi inchiostri al lavaggio, a differenza del nero carbone. Ma per rispondere a questa e ad altre domande con certezza, come ad esempio la presenza o meno di tannini, sono necessari ulteriori lavori sperimentali per valutare la composizione e la provenienza dei composti di ferro e l’analisi degli inchiostri neri sugli altri oggetti inscritti, provenienti dalla tomba di Kha, ad esempio ceramiche, papiri e legno».
Lo studio è parte del progetto di ricerca ARKHA (ARchaeology of the invisible: unveiling the grave-goods of KHA) nell’ambito della convenzione tra l’Università di Roma “Tor Vergata”, il Museo Egizio Torino, il Museo Storico della Fisica e Centro Studi e Ricerche “Enrico Fermi”, la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Torino e l’Università di Milano Bicocca.
Leggi l’articolo pubblicato su Scientific Reports “Egyptian metallic inks on textiles from the 15th century BCE unravelled by non-invasive techniques and chemometric analysis”, Nature, 13 Maggio 2019
A cura dell’Ufficio Stampa di Ateneo