Sempre più pressante la necessità di varare strumenti giuridici adeguati per offrire sostegno a medici, infermieri, tecnici di laboratorio e tutto il personale sanitario, in prima linea dall'inizio della pandemia
La pandemia da Covid, che ormai tiene il mondo in ostaggio da più di un anno, ha generato una caotica massa di problemi che si dipana in ogni direzione. Non esiste ormai categoria che non possa dirsi colpita, spesso e volentieri con conseguenze disastrose, e in questo calderone di difficoltà, nel quale chiuque cerca faticosamente di restare a galla al meglio delle proprie possibilità, esiste un paradosso più stridente di altri, che necessita di soluzioni rapide, efficaci e definitive. Si tratta della situazione vissuta dal personale sanitario, una categoria che, dato il peso specifico delle proprie competenze, dovrebbe poter lavorare nella più assoluta serenità. Purtroppo, la cosa non accade né con la frequenza, né con la semplicità con cui dovrebbe. Con l’arrivo della nuova ondata della pandemia, per medici e operatori sanitari è tornata infatti la paura di una nuova ondata di inchieste giudiziarie nei loro confronti per i decessi legati al Covid-19.
Stavolta, rispetto alla prima fase dell’emergenza, ci sono anche preoccupazioni in più, legate alle vaccinazioni. In seguito ai due decessi “sospetti” avvenuti in Sicilia dopo la somministrazione del vaccino Astrazeneca (ancora non è stato individuato alcun nesso causale tra le vaccinazioni e i decessi), la magistratura ha aperto inchieste per omicidio colposo nei confronti dei soggetti coinvolti nell’intera catena di distribuzione e somministrazione dei vaccini, dalla società produttrice al personale sanitario che li ha somministrati. Atto dovuto, si dirà, ma che basta ad alimentare i timori della classe medica. Da qui l’appello di Carlo Palermo, segretario nazionale di Anaao-Assomed, il principale sindacato dei medici in Italia, rivolto a governo e parlamento: “Il numero dei vaccini somministrati e da somministrare, e la possibilità statisticamente crescente di eventi avversi, rende necessario, oggi e non domani, un intervento legislativo straordinario che calibri il limite della responsabilità medica nell’attuale contesto emergenziale, caratterizzato dalla difficoltà e dalla straordinarietà della realtà in cui i medici tutti, e i sanitari in genere, sono chiamati ad operare per garantire il diritto alla salute dei cittadini anche in questa circostanza”.
Non si tratta soltanto di tutelare la categoria professionale più esposta (con la propria vita) all’emergenza coronavirus. Il nuovo clima da “caccia alle streghe” potrebbe infatti avere ripercussioni devastanti sulla stessa campagna vaccinale. “I pericoli - spiega il prof. Cristiano Cupelli, docente di Diritto penale all’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” - sono, ancora una volta, legati al rischio di una medicina difensiva dell’emergenza pandemica, stavolta calata nella delicatissima fase della profilassi vaccinale. I medici cioè, preoccupati dal rischio di indagini avviate (con annessa grancassa mediatica) a fronte di eventi avversi ad oggi sostanzialmente imprevedibili, potrebbero scegliere, nei pochi minuti di anamnesi che precedono la somministrazione del vaccino, di rimandare a casa chi sta per vaccinarsi ed è indeciso o non è in grado di ricostruire e valutare adeguatamente il proprio quadro clinico (molti anziani, ma non solo). L’effetto, drammatico, sarebbe quello di arrestare il piano vaccinale, rallentando la via di uscita dall’attuale situazione emergenziale”.
Urge dunque una riforma immediata dell’articolo 590-sexies del codice penale, che oggi disciplina la responsabilità medica, ritenuto inadeguato al peculiare momento emergenziale che il settore sanitario si ritrova ad affrontare. “Serve una norma che tenga conto adeguatamente del contesto, cioè delle difficoltà di chi in pochi minuti è chiamato a dovere decidere se vaccinare o no, assumendo su di sé i rischi di eventuali eventi avversi”, prosegue il prof. Cupelli.
Quattro le direttrici di fondo che dovrebbe seguire la nuova disciplina, funzionalmente e temporalmente connessa all'emergenza Covid-19: “Primo, limitare la responsabilità penale degli operatori sanitari alle sole ipotesi di colpa grave, di qualunque matrice colposa (oltre all’imperizia, dunque, anche condotte connotate da negligenza e imprudenza).
Secondo, introdurre una definizione di colpa grave, nella quale siano elencati taluni indici in base ai quali operare l'accertamento (sottraendolo così all’assoluta discrezionalità giurisprudenziale), dando peso rilevante ai fattori contestuali ed emergenziali”. I fattori da tenere in considerazione, aggiunge Cupelli, sarebbero ad esempio il numero di pazienti contemporaneamente coinvolti, il tempo a disposizione per assumere decisioni o agire, l’oscurità del quadro patologico o il grado di atipicità, eccezionalità o novità della situazione e dunque pure la necessità di fare ricorso a somministrazioni off label.
Terza direzione: “Valutare l’opportunità di allargare l’area di irresponsabilità colposa (sempre dei soli operatori sanitari) anche a fattispecie diverse da lesioni e omicidio. Si pensi ad altri eventi avversi e alla possibile contestazione del delitto di epidemia colposa nei riguardi del medico costretto a operare in assenza di adeguati presidi protettivi”.
Infine, conclude il Professore, appare necessario “ragionare sul peso da attribuire, in una situazione di incertezza scientifica, al rispetto di linee-guida anche se non accreditate o di buone pratiche clinico-assistenziali non ancora consolidate”.
La classe medica, intanto, aspetta risposte dal governo Draghi; i cittadini, in coda per il vaccino, pure.
A cura dell'Ufficio Stampa d'Ateneo
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