La ricercatrice Marianna Rossetti al lavoro nei laboratori di Chimica a “Tor Vergata”
In un futuro non troppo lontano potremmo rilevare la presenza o meno di un tumore, prima che si manifestino i sintomi, attraverso un semplice prelievo di sangue. A questo sofisticato strumento di diagnostica, frutto dell’evoluzione tecnologica, sta lavorando Marianna Rossetti, 35 anni, ricercatrice all’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, grazie a una borsa di studio della Fondazione Umberto Veronesi e all’ ospitalità dei Laboratori dell’Ateneo romano.
La borsa, che copre lo stipendio della ricercatrice ma non le spese per i materiali, prevede che l’attività di ricerca possa essere condotta presso il dipartimento di Chimica di “Tor Vergata”. È qui che Marianna Rossetti, un dottorato in Chimica a “Tor Vergata” ed esperienze all’estero, in Canada e in California, sotto la supervisione dei professori Giuseppe Palleschi e Francesco Ricci, con i quali collabora dal 2014, e con il supporto del ricercatore Alessandro Porchetta, ha iniziato a lavorare a una diagnostica innovativa per il tumore al seno. Lo studio si occuperà di sviluppare un sensore che sappia ‘”leggere’” il marker tumorale.
Dottoressa Rossetti, come potrebbe riassumere l’obiettivo della sua ricerca?
«L’idea è quella di sviluppare un sistema elettrochimico che, una volta che sarà individuato un marker tumorale, lo possa riconoscere dentro una goccia di sangue».
Accanto ai diversi studi in corso per identificare dei marker tumorali ottimali e avere così la possibilità di svelare un tumore prima che si manifestino i sintomi, esistono altri studi , come il suo, che lavorano allo sviluppo di una metodica sofisticata, attraverso l’impiego di elettrodi super-sensibili. Che tipo di vantaggi comporterebbe quest’ultima metodica rispetto alle metodologie oggi disponibili?
«Le metodologie oggi disponibili, come ad esempio la biopsia liquida, permettono di individuare le tracce che le cellule tumorali rilasciano nel sangue tra cui frammenti di Dna, sequenze di Rna, proteine o cellule intere ma richiedono tempi di analisi molto lunghi, personale specializzato e strumentazioni costose. Ottenere un metodo di diagnosi precoce, grazie all’uso di sensori, permetterebbe di abbassare i costi e di avere uno strumento di facile utilizzo e più accessibile, tanto che il paziente potrà fare una auto-diagnosi proprio come avviene con il dispositivo che utilizzano i diabetici per rilevare la glicemia».
Per quanto riguarda l’affidabilità del test, come verrà valutata?
«Faremo un confronto tra i risultati ottenuti con il dispositivo e quelli ottenuti dalla biopsia liquida con un prelievo in laboratorio»
In futuro questo nuovo strumento diagnostico potrà essere utilizzato anche per altri tipi di tumori?
«È il nostro obiettivo a medio-lungo termine, potenziare il dispositivo e aumentare il numero di marcatori rilevati per poter individuare diversi tipi di tumore. Inoltre, la ricercapotrebbe portare allo sviluppo di dispositivi utili per l’autovalutazione della risposta alle terapie e il monitoraggio di eventuali recidive e, al contempo, aumentare la possibilità di sopravvivenza anche nei Paesi in via di sviluppo, favorendo l’accesso a diagnosi di alta qualità,riducendo così le disparità nella cura del cancro».
Al momento a che punto è l’attività di ricerca ?
«Il progetto è a buon punto ma ci vorrà almeno un altro anno. La borsa erogata dalla Fondazione Veronesi è di durata annuale e si concluderà a gennaio. Per questo, per poter proseguire le ricerche, il che richiederà almeno un altro anno, ho fatto domanda per un’altra borsa, a dicembre saprò se potrò contare su un ulteriore finanziamento. Lo spero, in questo modo potrei anche incrementare l’affidabilità del dispositivo».
A cura dell’Ufficio Stampa di Ateneo