Tanti punti di vista per un solo obiettivo: un cambiamento socio-culturale per un nuovo modo di vivere in (tutti i tipi di) famiglia
Il 3 e il 4 aprile nell’aula Moscati della facoltà di Lettere e Filosofia dell’università degli studi di Roma “Tor Vergata” si sono tenuti due seminari, “Donne e maternità: dibattiti, controversie, possibilità” e “Famiglie e genitorialità” seguiti dall’Ufficio Stampa di Ateneo: tematiche paralleli e tangenti, in una prospettiva di cammino speculare e sinergico, trattando questioni delicate e di estrema attualità; e così anche le finalità, aspirando per entrambe le questioni a un cambio di paradigma metodologico, di percezione, di analisi e di osservazione.
Sono stati organizzati dal Dipartimento di Storia, Patrimonio culturale, Formazione e Società, dai prof. Elisabetta Marino, Carla Roverselli, Alessandro Amenta e Giuliano Lozzi.
“Donne e maternità: dibattiti, controversie, possibilità” è stato il seminario del 3 aprile e si è aperto con i saluti istituzionale di Lucia Ceci, Direttrice del Dipartimento, insieme a Virginia Tancredi, Presidente del Comitato Unico di Garanzia: insieme hanno sottolineato il fatto che questo sia un seminario permanente, perché queste tematiche sono di estrema importanza e coinvolgono tutte e tutti come docenti, studenti e cittadini. «Un seminario permanente può fornire una buona formazione, può fare ricerca con continuità, divulgazione scientifica e civile» ha dichiarato Lucia Ceci «può promuovere lo studio e l’analisi, la vigilanza positiva e stili di comportamento e comunicazione, facendone un centro di riferimento nell’ateneo e nel territorio.»
Tancredi ha concluso dicendo che il seminario avrebbe trattato il tema della maternità a largo spettro, a fronte anche di problematiche attuali come la maternità in carcere, il forte calo dei permessi per maternità e, in generale, della denatalità.
Nella prima parte, moderata da Francesca Dragotto, docente di linguistica a “Tor Vergata” e sviluppatrice del progetto “Grammatica e sessismo”, la maternità è stata affrontata con un punto di vista classico-letterario, iniziando con l’intervento di Cristina Pace, docente di Filologia classica di “Tor Vergata”, che si è soffermata in particolare sulla figura di Medea, sull’uccisione dei propri figli, dettato dalla pazzia o dalla lucida ricerca di vendetta...
Dalla Grecia classica alla letteratura di lingua inglese di fine 800 con l’intervento di Elisabetta Marina e di una sua laureata, Arianna di Vitto: maternità, femminismo e riscatto di donne e madri molto diverse da loro: c’è chi vive la maternità come scelta obbligate, apparenza e infelicità; chi invece intraprendono una lotta, una rivoluzione; e chi, come Sara Grand è «una femminista conservatrice. Per lei le donne sono depositarie di valori superiori e devono elevare gli uomini alla loro stessa posizione».
Proprio la prof. Marino ha moderato la seconda parte del seminario che ha virato più sul sociale: dalla Hull House di Chicago aperta da Jane Addams, premio Nobel per la pace del 1931, che accoglieva e dava sostegno a madri e bambini immigrati, di cui ha parlato Orsola Iermano, dottoressa di ricerca in Filosofia dell’educazione a “Tor Vergata”, alla vivace attività della scrittrice e pedagogista Antonietta Giacomelli che, a inizi ‘900, si distingueva e smuoveva l’opinione pubblica con iniziative di (inconsapevole) stampo femminista, come “L’unione nazionale delle giovani esploratrici italiane”, uno scoutismo laico. «Anche la donna nubile può avere il suo ruolo nella società e può avere una dignità senza legami; anzi, così ha maggiore libertà. Le ragazze possono realizzare se stesse andando contro i pregiudizi del mondo che vedono nella condizione di nubili una situazione negativa» riassume così Paola Dal Toso, associata di Storia della Pedagogia presso l’Università degli Studi di Verona, il pensiero di Antonietta Giacomelli.
Un altro tema sociale è quello della maternità in carcere: è provato che la condizione di detenzione materna e il trauma del distacco in caso di arresto della madre, determinano la devianza nei figli, li inducono a entrare nel circuito criminale. Secondo Laura Capraro, ricercatrice presso il Dipartimento di Giurisprudenza del nostro Ateneo «Carcere e maternità sono un binomio inconciliabile».
Alla stessa stregua una situazione limite e di forte fragilità sono le donne madri migranti. Ognuna ha la sua storia, il suo vissuto, le proprie esperienze personali, una sola cosa le accumuna: la maternità. Il lavoro di ricerca di Gaetana Tiziana Iannone, dottoranda presso “Tor Vergata”, si è concentrato sul progetto SAI (Sistema Accoglienza Integrazione) di Latina, in cui giungono molte donne vittime di tratta e per le quali gravidanza, aborto e sterilità sono esperienze molto difficili da vivere, aggravate dalla situazione di bilico tra le proprie tradizioni lasciate alle spalle e il paese che le accoglie, con una cultura nuova in cui non è semplice integrarsi e con cui devono confrontarsi.
Le è stato chiesto « Ci sono state alcune donne madri, ospiti in centri di accoglienza, che lamentavano il fatto che da parte di molte operatrici c’era un atteggiamento di paternalismo verso di loro, come se volessero insegnargli a essere madri, alla maniera “occidentale”, da mondo “avanzato”, contro il loro considerato “primitivo”. Un po’ il fardello dell’uomo bianco di Kypling. Quanto va forzata la mano? Quanto invece è importante lasciare che il proprio vissuto si adatti e si armonizzi con la nuova realtà?»
«Occorre operare un decentramento e non imporre il modello occidentale come il modello perfetto» ha risposto Iannone «è sicuramente un’operazione difficile. La mediazione non è imporre il proprio modello, anche perché queste donne, quando vedono imporsi una modalità educativa, si chiudono e questo non giova a nessuno. La funzione degli addetti ai lavori è fondamentale, è una mediazione con le istituzioni per l’ingresso di queste persone.»
La relazione madre figlia/o, anche a livello di legame etnico, culturale, linguistico, ha tagliato trasversalmente l’evento cominciando con la figura presentata da Carla Roverselli, ordinaria di Pedagogia generale e sociale a “Tor Vergata”: Assia Djebar, pseudonimo di Fatima-Zohra Imalayène, scrittrice, poetessa, saggista, regista e sceneggiatrice algerina; continuando poi con l’analisi di Elvira Lozupone, docente di Pedagogia generale sociale sempre a “Tor Vergata” del corto “Bao” della Pixar in cui viene simpaticamente raccontato il difficile distacco e l’integrazione della seconda generazione in una famiglia cinese in America; il rapporto di una madre poeta italo americana può essere conflittuale in uno scontro sia generazionale che etnico, soprattutto se rifiutato e somaticamente ostacolato: è quello che affronta Carla Francellini, ricercatrice senior a tempo determinato in Letteratura Angloamericana presso l’Università di Siena, presentando Maria Mazziotti Gillan.
Stéphane Bauzon, associato confermato di Filosofia del diritto a “Tor Vergata”, si è concentrato sulla figura di Sophie, compagna dell’Émile di Jean-Jacques Rousseau, che aspira a essere la mamma perfetta come culturalmente e socialmente interpretata in quel particolare contesto storico, ovvero che si dedica ai figli in maniera totale e quindi annichilente per lei. Spostandosi poi sulla visione di Simone de Beauvoir dice che «La maternità è da intendere come handicap: la donna incinta e che allatta è alienata nel suo corpo, il bambino invade il soggetto che non può esercitare attività vere, la donna così rimane nella sua alienata situazione di buona madre.»
Argomento di più interventi è stato il passaggio da donna a mamma, la trasformazione del corpo e della psiche, l’esperienza parto con focus sulla violenza ostetrica e lo status di mamma lavoratrice, in particolare nel periodo pandemico, con lo smart working e la disparità di genere. Le tre relatrici che si sono alternate seguendo questo filo rosso del cambiamento, Francesca Dragotto, Grazia Terrone (docente di Psicologia dinamica a “Tor Vergata”) e Antonella D’Andrea (associata di Diritto del lavoro a “Tor Vergata”) hanno analizzato come non si nasca genitrici e come corpo e mente subiscano pressioni e cambiamenti, fisici, emotivi, spesso con violenza e senza avere dall’esterno, dalle persone e dalla società in toto, sostegno e comprensione. Gli studi in merito sono recenti - la prima definizione di violenza ostetrica è del 2007 in Venezuela - e si è finalmente scoperchiato un vaso di Pandora che, si spera, porti anche a un cambiamento. Si parla molto a livello mediatico anche delle profonde differenze uomo/donna durante l’esperienza pandemica: racconta D’Andrea « La pandemia ha peggiorato il già fragile equilibrio tra vita professionale e privata. Le madri hanno subito l’impatto delle maggiori responsabilità domestiche; inoltre il ridursi della gamma dei servizi di assistenza disponibili e la scarsa flessibilità di queste strutture hanno peggiorato la situazione di queste donne, aggravata dalle significative differenze di genere.»
Strettamente legate al cambiamento, allo stato, all’emotività del diventare madre sono i blog e i social che trattano la gravidanza e il maternage: «Un’immagine standardizzata» dice Sandra Petroni, docente a “Tor Vergata” di Lingua e traduzione inglese «come il template di wordpress usato per il blog». Questo delinea un ideale di madre da perseguire in un confronto che diventa quasi una gara per raggiungere quell’ideale imposto (dalla società? Dalle altre donne?) e che ora si sta spostando sui social, da Facebook a Instagram, con linguaggi e finalità diverse, ma che concorrono ugualmente a quel senso di inadeguatezza e ansia performativa in cui è facile cadere, soprattutto in una società in cui viene a mancare una rete di sostegno e la depressione post partum è dietro l’angolo.
A questo proposito è stata aperta una parentesi citando il servizio offerto dal Policlinico di Tor Vergata “Sos Mamma” e il Centro antiviolenza di Differenza Donna che ha aperto nella Macroarea di Lettere e Filosofia e intitolato a Elena Gianini Belotti, autrice dell’emblematico libro “Dalla parte delle bambine”.
La maternità, l’allattamento e il modo in cui li si vive sono dettati culturalmente. «Cambiando i capisaldi culturali cambiano la postura, l’atteggiamento nell’allattamento, si vede come è culturalmente mediato» conclude Alice Migliorelli, Linguista.
Dello stesso avviso Marco Tedeschini, docente di Estetica a “Tor Vergata”, che ha affrontato con un punto di vista filosofico il concetto di istinto materno, se e quanto sia innato, concludendo che la chiave sta «nell’ampliare le possibilità d’essere della donna e queste non coincidono per forza con l’essere madre.»
Legami di sangue e non, istinto materno, “qualità genitoriali” sono stati i temi ricorrenti anche nel seminario del 4 aprile, “Famiglie e genitorialità” inserito nel progetto LGBT+ History Month.
Le società e gli assetti culturali su cui poggiano cambiano e si evolvono e così anche i concetti di famiglia. Con studi psicologici e aspetti giuridici alla mano, presentati rispettivamente da Nicola Carone psicologo, ricercatore di psicologia dello sviluppo presso l’università di Pavia e Angelo Schillaci professore associato di Diritto pubblico comparato alla Sapienza Università di Roma, è stata presentata una panoramica su quella che è la difficile situazione delle famiglie omogenitoriali in Italia. La discussione è di estrema attualità, visti i recenti provvedimenti politici e legislativi tuttora in discussione.
Il vuoto legislativo che c’è attualmente nella regolamentazione della genitorialità per coppie omosessuali è molto grande e va colmato, come sottolinea Schillaci, aggiungendo che «L’unione civile tra persone dello stesso sesso dà riconoscimento alla vita familiare e alla vita delle persone omosessuali ma non dà risposta ai legami di genitorialità.»
La Hull House di Jane Addams è stata nuovamente protagonista nell’analisi di Federica Castelli ricercatrice del Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo presso l’università Roma 3. «Non esempio a cui guardare, ma per cambiare sguardo, scardinare gli immaginari e produrne altri» specifica Castelli. «Nella Hull House la gente colta era in contatto con le persone degli strati sociali più bassi. Non carità perché la carità fissa in chi dà e chi riceve e non scardina le dinamiche sociali, si deve creare una relazione di reciprocità e scambio, fare ricerca e produrre cambiamento, dare corpo alla democrazia. Creare sapere condiviso e relazioni nuove. La ricerca urbana sui quartieri dei migranti di Chicago si faceva coinvolgendo i soggetti.» Nuove relazioni da nominare, come quella che legava Jane Addams a Ellen Gates Starr e che ha creato imbarazzo per gli storici che ne dovevano parlare. «Nominare le relazioni è un gesto politico. Il sostegno ai bambini del vicinato è un gesto politico. Come anche mettere al centro le relazioni non previste dallo spazio pubblico al maschile, le culture e le classi differenti e farlo diventare la forza da cui parte il cambiamento politico».
Portando come esempio i personaggi e le situazioni rappresentate in serial come Star Trek o Pose, si è riletto il concetto di famiglia, utilizzando un punto di vista moderno, come quello filtrato dalla fiction, proposto da Paola Del Zoppo, ricercatrice e docente di Letteratura tedesca al DISTU dell'Università della Tuscia e traduttrice, e da Giancarlo Covella del Dipartimento di lingue e letterature e culture straniere dell’Università di Bergamo: «Famiglie scelte, una visione alternativa alla comune accezione di famiglia» dice Covella « È l’assistenza e la rete di amicizia e ambiente sociale in cui si può manifestare la propria sessualità. La “house”» continua riferendosi alla “ballroom culture” descritta nel serial Pose «è un insieme di modalità di condivisione di valori e conoscenze: l’educazione, il supporto morale e materiale. La “legacy”, il legame, sono gli interessi comuni, che si protraggono nel tempo; si lascia un’eredità di beni materiali e simbolici. C’è un ripensamento della visione tradizionale di parentela. Come disse Vincenzo Bavaro nel 2019 “non è il sangue a fare la famiglia, sono quelle scelte di responsabilità e la cura dell’altro”.»
E come disse Audrey Lorde «L’amore può essere la forza che pone fine all’oppressione.»