“Un po' di “alchimia” matematica, su osservazioni a Terra e dallo spazio, ci ha permesso di calibrare diversi dati e ricostruire così quella che si chiama l'irradianza solare totale, cioè la quantità di energia solare che arriva in cima all'atmosfera della Terra, e che sappiamo oggi essere mediamente di circa 1361 watt su metro quadro”. Francesco Berrilli, professore ordinario di Fisica solare al dipartimento di Fisica dell'università di Roma Tor Vergata, spiega la ricerca pubblicata lo scorso autunno su The Astrophysical Journal e recentemente oggetto di una coinvolgente intervista online disponibile nel canale YouTube dell'American Astronomical Society (AAS).
Ricostruire l'irradianza solare totale nell'ultimo millennio, cioè a partire dal Basso Medioevo, sembra un'impresa da capogiro, invece è possibile. Ci sono riusciti le ricercatrici e i ricercatori del team di fisici solari coordinato da Francesco Berrilli, tra cui Valentina Penza del dipartimento di Fisica, prima firma della ricerca, e Serena Criscuoli del National Solar Observatory, Colorado (USA), che hanno partecipato all'intervista di AAS. Il Sole rappresenta per il pianeta Terra la fonte di energia più importante e permette la vita e il clima favorevole che caratterizzano il nostro pianeta. Studiare l'irradianza nel corso degli ultimi secoli è una condizione cruciale per cercare di capire cosa accade al nostro pianeta durante lunghi periodi di bassa attività solare, detti grandi minimi solari.
Nonostante misure affidabili dell'irradianza solare siano disponibili solo dalla fine degli Anni ‘70, con l'avvento dei radiometri a bordo di missioni spaziali, è stato possibile ricostruire in modo indiretto l'irradianza nei secoli passati. Il professor Berrilli racconta come è stato possibile: “Nel nostro studio, portato avanti in collaborazione tra il dipartimento di Fisica del nostro Ateneo e il National Solar Observatory (USA), abbiamo ricostruito il comportamento della nostra stella nell'ultimo millennio per studiare l'impatto dei grandi minimi - ovvero i lunghi periodi di inattività solare - sul clima della Terra. Per farlo, abbiamo dovuto ricostruire il comportamento della nostra stella in epoche antecedenti all'uso del telescopio, quindi senza avere informazioni dirette sull'attività del Sole. Per risolvere questo problema siamo ricorsi a misure del contenuto di carbonio 14 negli anelli degli alberi. Questo radioisotopo del carbonio è prodotto dai ‘raggi cosmici galattici' che sono modulati dall'attività magnetica del Sole. In pratica contando quanto il carbonio 14 è presente negli anelli degli alberi possiamo capire cosa il Sole ha fatto in passato”.
«Il sole è nuovo ogni giorno» affermava Eraclito. “E non si sbagliava”, Valentina Penza spiega il variare della luminosità del Sole. “La nostra stella modifica continuamente la propria luminosità. Diventa sempre più luminosa a causa del lento consumarsi dell'idrogeno nel suo nucleo e oggi, dopo oltre 4.6 miliardi di anni di vita, risulta del 30% più brillante rispetto alla nascita. Ma cambia la sua luminosità anche per il continuo modificarsi del suo campo magnetico e lo fa con cicli più o meno regolari, il più famoso è il ciclo di quasi 11 anni connesso alle macchie solari. Può anche modificare la propria luminosità su intervalli di pochi minuti a causa di violenti processi esplosivi dovuti ai brillamenti (come quelli che hanno prodotte le aurore visibili anche da Roma nel maggio dello scorso anno)”. “Studiamo le variazioni della luminosità solare, connesse ai grandi minimi, - conclude Berrilli - perché possono permetterci di capire eventi climatici del passato, come la possibile piccola Era glaciale alla fine del XVII secolo, e di calibrare i complessi modelli climatici che permettono di studiare il riscaldamento globale. Il più famoso grande minimo solare è quello di Maunder, in un periodo compreso tra il 1645 e il 1715, durante il quale furono rare le macchie solari”.
a cura dell'Ufficio Stampa di Ateneo
Photo Credits: Immagine composita del Sole, acquisita dal satellite SDO (20/02/2025). Courtesy of NASA/SDO and the AIA, EVE, and HMI science teams