A questo è a altri quesiti ha cercato di dare risposta Lorenzo Perilli, ordinario di Filologia classica e direttore di dipartimento di Studi letterari, filosofici e di Storia dell'arte dell'università di Roma Tor Vergata in una lunga intervista rilasciata al settimanale Venerdì di Repubblica.
Partendo dall'assunto che la natura dell'uomo è imprevedibile, “imperfetta” e non riproducibile, la sfida vera è quella di cercare di adeguarsi a una tecnologia sempre più avanzata, che riduce l'errore di traduzione delle azioni al minimo.
”La mia tesi – afferma Perilli - è che stiamo iniziando a ridefinire la nostra idea di intelligenza e gradualmente anche quella di coscienza sulla base di ciò che le macchine sanno fare o non sanno fare, o non sanno ancora fare”. L'uomo, da misura di tutte le cose diventa oggetto di una realtà plasmata da fattori sempre meno controllabili e gestibili e dovrà adattarsi a questa sempre di più. Il ragionamento passa dal nostro Leopardi al filosofo Benjamin, fino a Steven Spielberg che nel 2001 predisse questi tempi hi-tech attraverso il film AI, con un pinocchio-robot in cerca di identità riconosciuta e riconoscibile. E proprio l'intelligenza artificiale diventa uno dei percorsi più sfidanti dei prossimi anni secondo Perilli. Trattandosi di un sistema sempre più avanzato, basato su calcoli algoritmici binari e “assoluti”, che nel tempo potrebbe diventare predominante. Lo studioso sostiene addirittura che l'intelligenza artificiale già oggi sta modificando i processi cognitivi della specie perchè “Il ricorso sistematico alla tecnologia basata sul calcolo avanzato, nelle sue numerose applicazioni, modifica la struttura neurale del cervello”. Nonostante quello che sembra un quadro complicato sul futuro dell'umanità, in cui persino concetti come libertà e democrazia possono essere rimessi in discussione sull'altare dell'efficienza, il filologo di Roma Tor Vergata conclude con un moto di speranza per quanto riguarda il significato di coscienza “Eppure io confido avesse ragione il fisico Roger Penrose, vale a dire che il tutto non sia la somma delle parti. Riprodurre i processi di interazione funzionale per creare quella che noi chiamiamo coscienza non basta. La coscienza delle macchine, così come la loro intelligenza e la loro vita, nella loro evoluzione, sono e saranno un'altra cosa”.
A cura dell'Ufficio Stampa di Ateneo