Pubblicato su Nature Biotechnology uno studio sui sensori a nanoporo che potranno permettere di analizzare le proteine di cellule e tessuti. Un fenomeno nanofluidico è stato usato per estendere tecnologie di sequenziamento a nanoporo utilizzate per il DNA al mondo delle proteine.
I sensori a nanoporo sono alla base di dispositivi portatili per sequenziare il DNA e hanno permesso notevoli sviluppi nel sequenziamento di tutto il materiale genico, come ad esempio nella mappa del primo Pangenoma. Ora la prossima sfida è l’analisi delle proteine. Un drastico aumento di complessità e potenzialità: dal momento che le proteine svolgono effettivamente le funzioni basilari di cellule, tessuti e organismi, riuscire grazie ai sensori a nanoporo a studiare le loro sequenze e le loro alterazioni che sono spesso associate a fenomeni di regolazione e di insorgenza di patologie avrebbe implicazioni di vasta portata anche per la diagnosi e la cura dei pazienti. Ma le proteine sono molto più complesse del DNA.
Secondo la ricerca pubblicata nell’ultimo numero di Nature Biotechnology, che vede come autori due ricercatori dell’università di Roma Tor Vergata Mauro Chinappi del dipartimento di Ingegneria Industriale e Blasco Morozzo della Rocca del dipartimento di Biologia, sarebbe possibile utilizzare i sensori a nanoporo per analizzare anche le proteine. Uno dei problemi principali che hanno affrontato gli scienziati è che, a differenza del DNA (carico negativamente), le proteine non hanno una carica elettrica uniforme e quindi non è possibile usare efficacemente un campo elettrico esterno per controllare il loro movimento nel nanoporo.
La ricerca, svolta in collaborazione con il gruppo di ricerca guidato da Giovanni Maglia dell’università di Groningen in Olanda, ha mostrato come ingegnerizzando un nanoporo biologico chiamato CytK (tossina secreta dal batterio Bacillus Cereus), sia possibile catturare proteine grazie a un meccanismo noto come flusso elettro-osmotico. In particolare, la superficie interna di CytK può essere alterata aggiungendo cariche negative. Queste cariche superficiali danno luogo a un forte accumulo di ioni positivi all’interno del poro che, sotto l’azione di un campo elettrico esterno, risultano in una forza che mette in moto il fluido.
Lo studio ha dimostrato che è possibile ottenere un flusso elettro-osmotico così intenso da permettere la cattura e il trasporto di proteine attraverso il poro, indipendentemente dalla loro carica. Un tassello importante per lo sviluppo di sensori a nanoporo per proteine.