L’odio veicolato attraverso il linguaggio è una delle forme più subdole di violenza, capace di colpire non solo chi lo subisce direttamente, ma anche l’intero tessuto sociale. Nel mondo digitale, il fenomeno si è ampliato rapidamente: i social network amplificano e normalizzano messaggi che un tempo restavano confinati in ambiti ristretti, rendendoli accessibili su scala globale e ripetibili all’infinito. Non si tratta solo di parole, ma di atti di violenza che modificano percezioni, relazioni e comportamenti.
L’hate speech non si limita a ferire psicologicamente: è in grado di costruire e legittimare stereotipi, alimentare discriminazioni e persino innescare dinamiche di esclusione. Tra le sue forme più diffuse, la misoginia emerge come uno dei fenomeni più radicati e complessi, trovando nel linguaggio un veicolo privilegiato per perpetuarsi. In più il linguaggio d’odio ferisce anche fisicamente.
“La misoginia,” ha spiegato la professoressa Francesca Dragotto, “non è un fenomeno nuovo. È profondamente radicata nella nostra cultura e tradizionalmente presente nel discorso sociale. Tuttavia, con l’avvento dei social network, ha trovato una nuova consacrazione, diventando più insidiosa e pervasiva.” La sociolinguista ha mostrato come il discorso misogino online sia ormai parte della comunicazione quotidiana, spesso celato sotto forma di termini apparentemente neutri ma carichi di sessismo. Ha inoltre presentato un “abbecedario” di parole sessiste e misogine, sottolineando come il loro uso frequente le abbia rese “naturalizzate”, quindi difficili da riconoscere e contestare. “Le parole,” ha aggiunto, “non sono mai solo parole. Sono atti, e come tali producono effetti: lasciano segni profondi nella mente e nel vissuto delle persone che le subiscono.”
Barbara Rizzato, neurologa del Policlinico Tor Vergata, ha ampliato il discorso illustrando gli effetti delle parole d’odio sul cervello. Attraverso studi neuroscientifici e immagini funzionali, ha mostrato come l’hate speech generi vere e proprie lesioni emotive. “Le parole d’odio non sono innocue. Producono effetti clinici tangibili, come ansia, paura, cardiopalmo, sudorazione fino ad arrivare allo sviluppo di patologie quali angina, cardiomiopatia, crisi ipertensive e disfunzioni del sistema immunitario”. L’hate speech, attivando specifiche aree cerebrali, può generare una condizione di stress cronico e un aumento cronico degli ormoni stress-correlati con conseguente riduzione delle connessioni neurali, atrofia dendritica e quindi manifestazioni neuro-comportamentali. Questo può dimostrare che l’effetto della violenza verbale va ben oltre l’istante in cui le parole vengono pronunciate, possono arrivare ad alterare in modo permanente il benessere mentale, emotivo e fisico delle vittime.
Le due esperte hanno affrontato questi temi durante l’evento “Tante facce, ma è sempre violenza”, che si è svolto il 25 novembre 2024 presso la Nuova Aula dei Gruppi Parlamentari di Palazzo Montecitorio, in occasione della Giornata mondiale ONU per l’eliminazione della violenza contro le donne. L’incontro, promosso dall’Intergruppo per le Donne, i Diritti e le Pari Opportunità coordinato dall’On. Laura Boldrini, ha visto la partecipazione di esperti, studenti e rappresentanti delle istituzioni, ponendo l’accento sulla necessità di contrastare tutte le forme di violenza, con particolare attenzione al discorso d’odio e alla misoginia.
Durante la giornata sono stati affrontati anche altri temi centrali della lotta contro la violenza di genere, tra cui le molestie sessuali, l’alienazione parentale e il consenso nell’approccio sessuale. Tra i momenti più toccanti, la testimonianza di Gino Cecchetti, padre di Giulia, vittima di femminicidio, che ha condiviso il proprio dolore e l’importanza di prevenire simili tragedie.
L’Università di Roma Tor Vergata si distingue per il contributo al dibattito su temi cruciali, dimostrando ancora una volta come il dialogo scientifico e culturale sia uno strumento essenziale per il cambiamento sociale. La violenza, in tutte le sue forme, inizia con le parole. Ed è con le parole che va combattuta. Le parole non sono mai solo parole: sono fatti. E lasciano segni.
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