Emanuela Gatto è professoressa associata di Chimica Fisica presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. La sua attività scientifica riguarda la progettazione e la realizzazione di nuovi materiali sostenibili per applicazioni nell'ambito del fotovoltaico organico, della sensoristica e delle bioplastiche.
Ha prodotto pubblicazioni internazionali su riviste peer-reviewed e tre brevetti nazionali, di cui due estesi a livello internazionale. E’, inoltre, responsabile scientifica di progetti nazionali ed ha partecipato a numerosi progetti europei. Da diversi anni è inoltre CEO e co-fondatrice dello spin-off SPlastica.
Proprio per questo ultimo motivo abbiamo deciso di intervistare la professoressa, cercando di capire come i risultati delle sue ricerche sugli scarti del latte, siano riusciti ad uscire dal laboratorio per entrare nel mondo imprenditoriale, creando una società che raccoglie visibilità e successi, realizzando quello che l’Università chiama trasferimento tecnologico.
Qual è stato il primo contatto con l’Ufficio di Trasferimento Tecnologico? Che tipo di assistenza ricercava e quali servizi Le sono stati offerti circa la valorizzazione dei risultati della ricerca?
Il primo contatto è avvenuto nel 2018 quando con il mio gruppo di ricerca volevamo capire se gli studi che stavamo portando avanti sugli scarti del latte potessero avere ulteriore sviluppo su un piano imprenditoriale. Perché, come ben sappiamo, se alla ricerca in laboratorio non segue uno sviluppo industriale, una ricerca rischia di rimanere nel cassetto e non avere il giusto sviluppo, nonché poca visibilità.
Prima di tutto, l’obiettivo era sapere di più sulla protezione intellettuale della nostra ricerca, perché spesso noi ricercatori non consideriamo, o poco ne sappiamo, di questi aspetti e tralasciamo la tutela dei risultati degli studi che portiamo avanti.
Se c’era margine per un tipo di sviluppo imprenditoriale, allora bisognava approfondire questa tematica e l’unico modo era iniziare col chiedere alla nostra Università; nello specifico, agli Uffici che si occupano proprio di Trasferimento Tecnologico. Con loro abbiamo da subito pensato di partecipare con la nostra idea alla Start Cup Lazio, la Business Plan Competition regionale che promuove la nascita di nuove imprese ad alto contenuto innovativo nel sistema della ricerca laziale. L’idea ci permetteva immediatamente di fare una serie di passaggi interni per costituirci come start-up innovativa e presentarci come società; una forte accelerata di passo rispetto ai nostri studi di laboratorio! Nel giro di un anno siamo quindi stati catapultati dalle nostre ricerche sulle bioplastiche in un percorso che ci ha permesso di avviare un’iniziativa imprenditoriale, SPlastica, costituendo una Spin off di Ateneo e vincendo subito il primo premio come Miglior Idea di Impresa ad alto contenuto tecnologico nata in un centro di Ricerca del Lazio insieme al Premio speciale per l’imprenditoria femminile al PNI 2018 (Premio Nazionale per l’Innovazione).
Da quel momento è stato un susseguirsi di partecipazioni ad eventi, call e bandi, spesso supportati e sponsorizzati dagli uffici di Ateneo e da Lazio Innova, i quali hanno sempre stimolato e divulgato le diverse possibilità di finanziamento. Soprattutto nella prima fase, il loro supporto è stato anche di tipo normativo; ad esempio, nel momento in cui si è resa necessaria la presentazione di domande di partecipazione o redazione di contratti di sfruttamento del brevetto e/o di tutela dell’invenzione, dell’utilizzo dei dati, rapporto con gli stakeholder, ecc.
Può raccontarci più nel dettaglio di cosa si occupano le vostre ricerche?
I nostri studi di laboratorio hanno riguardato sin dall’inizio l’utilizzo degli scarti del latte come materia prima per produrre oggetti o imballaggi. L’idea è nata quando, in una delle lezioni volte a promuovere lo studio delle discipline scientifico-tecnologiche (STEM) nei licei, un ragazzo mi fa una domanda molto semplice su quanto i ricercatori stessero partecipando in modo concreto alla creazione di materiale non inquinante. La lampadina si è accesa ed è cominciato il viaggio verso la rivalutazione dell’uso del latte per essere utilizzato come materiale alternativo alla plastica. Dalle ricerche sulle bioplastiche nasce poi il primo prodotto, l’SP-Milk, una sorta di plastica alternativa, realizzata a partire dal latte, utilizzando i biopolimeri naturali invece dei combustibili fossili. SP-Milk è in grado di sostituire tutti i tipi di plastica rigida ed ha molteplici applicazioni: dal packaging rigido ai giocattoli, dal medicale al settore high- tech e il prodotto finale è tranquillamente applicabile sia nella grande, sia nella piccola distribuzione.
L’idea ha quindi due scopi fondamentali: risolvere, o quanto meno limitare, l’utilizzo della plastica e sfruttare l’enorme quantitativo degli scarti del latte, che nel nostro Paese è particolarmente rilevante.
Qual è la ragione che l’ha spinta ad investire tempo nella valorizzazione della sua ricerca tramite un’iniziativa imprenditoriale?
Sapevamo il potenziale delle nostre ricerche ed avevamo bisogno di portarle avanti, ma avevamo anche bisogno di supporto tecnico e finanziario. L’Ateneo, Lazio Innova, Unindustria e i diversi premi, ci hanno aiutato molto a colmare il gap tra il lavoro in laboratorio e quello per la creazione e lo sviluppo dell’impresa. Il salto nel vuoto c’è comunque stato. Tutto il lavoro dietro la start-up ha richiesto coraggio e impegno, soprattutto perché la nostra vera natura non è quella di essere imprenditori, ma sapevamo che era la strada da perseguire per il giusto sviluppo del prodotto.
Col tempo ci sono stati tanti riconoscimenti provenienti dal mondo accademico, mediatico ed imprenditoriale ed anche molte email con messaggi di supporto ed apprezzamento da parte di persone comuni che, venendo a conoscenza della nostra scoperta, ci hanno incoraggiato ad andare avanti nella nostra avventura. E’ stato davvero motivante!
È soddisfatta di aver iniziato questa avventura imprenditoriale e che impatto pensa possa avere sulla collettività?
Sicuramente posso dirmi molto soddisfatta del viaggio di Splastica. La società sta ampliando i propri confini collaborando con altri stakeholders e continua a raccogliere riconoscimenti. Penso ai recenti “Premio Marisa Bellisario e Intesa San Paolo - Women Value Company”, riconoscimento dedicato alle donne che si sono distinte in vari settori o il “Premio Women TechEU”, iniziativa finanziata dall’ Unione Europea per premiare imprenditrici di startup deep-tech.
Ho anche ricevuto soddisfazioni in termini personali. Sono stata invitata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a partecipare alla Festa della Repubblica come giovane ricercatrice, ho realizzato un talk TED-X e diversi canali televisivi hanno parlato della nostra esperienza. Tutto ciò ha generato molto impatto e curiosità a livello di pubblico non addetto ai lavori, forse perché i temi della sostenibilità e del riciclo dei materiali sono decisamente più familiari ora rispetto a quando abbiamo cominciato. Sono sicura che nel nostro piccolo siamo riusciti a far avvicinare molte persone, soprattutto giovani, a queste tematiche. I nostri laboratori ospitano molto volentieri studenti e dottorandi interessati a collaborare con la nostra realtà.
Ritiene che le università dovrebbero puntare sulle competenze professionali dedicate alla valorizzazione dei risultati della ricerca scientifica?
Certo, questo è un aspetto fondamentale. Personalmente so quanto è complicato da ricercatore muoversi in un ambiente non familiare come quello imprenditoriale. Lo so anche perché molti miei colleghi e colleghe mostrano le stesse titubanze nel momento in cui si presenta l’occasione di uscire dal laboratorio, ma per esperienza posso sentirmi di dire che con l’aiuto delle persone giuste è possibile traghettarsi dall’ altra parte e vedere orizzonti inaspettati.
Il nostro team di ricerca ha dovuto sviluppare competenze amministrative e commerciali, per cui ora siamo decisamente più esperti di prima, ma se all’inizio non ci fossero state le indicazioni degli uffici avremmo probabilmente avuto momenti di impasse e scoraggiamento. La disponibilità a supportare il team negli aspetti amministrativi e legali è un elemento da non sottovalutare per spingere i ricercatori e le ricercatrici oltre la loro comfort zone!
Per approfondimenti sulla realtà di Splastica: https://www.splastica.com