Una banca dati di 5mila genomi antichi dal Paleolitico superiore (circa 34000 anni fa) fino alle migrazioni delle popolazioni vichinghe e al Medioevo.
L’Europa e il grande bacino dell’Eurasia occidentale, un immenso campo di ricerca per arrivare ad avere una banca dati straordinaria: il ritrovamento di reperti e le analisi del DNA antico hanno coinvolto cinque università in tutto il mondo e tre soprintendenze italiane.
Biologi, archeologi, medici: quasi 200 tra scienziati e scienziate al lavoro su un progetto recentemente pubblicato su Nature, impressionante per complessità e qualità di dati, a cui hanno partecipato - lato università di Roma Tor Vergata - docenti del dipartimento di Biologia con Olga Rickards, già Ordinaria di Antropologia molecolare e Cristina Martinez-Labarga, professoressa associata di Antropologia e del dipartimento di Storia, patrimonio culturale, formazione e società con Mario Federico Rolfo, professore associato di Preistoria e Protostoria, come esperti del popolamento dell’Italia.
Si tratta di una ricerca molto articolata e lunga iniziata grazie a due finanziamenti PRIN del ministero dell’Università e della Ricerca ottenuti da Olga Rickards: "Patrimonio biologico e culturale delle popolazioni dell'Italia centromeridionale attraverso 30mila anni" e "1000 antichi genomi italiani: prove da antiche biomolecole per svelare le dinamiche della popolazione umana del passato".
Grazie al Dr. Gabriele Scorrano, Assistant Professor al Lundbeck Foundation GeoGenetics Centre dell’università di Copenhagen, ma scientificamente cresciuto a Roma Tor Vergata presso il gruppo guidato dalla professoressa Rickards, i due importanti progetti PRIN sono stati inseriti in quello più ambizioso ed esteso guidato da Eske Willerslev della Lundbeck Foundation GeoGenetics Centre, Thomas Werge dell’Institute of Biological Psychiatry, Mental Health Services, Copenhagen University Hospital e Rasmus Nielsen del Department of Integrative Biology dell’università di Berkeley in California, finanziato dalla Lundbeck Foundation.
“Lo scopo è arrivare ad avere una banca dati di 5.000 genomi antichi dal Paleolitico superiore fino al Medioevo, per studiare la storia genetica e evolutiva dei disturbi cerebrali, come l’Alzheimer e la sclerosi multipla, per acquisire nuove conoscenze mediche e biologiche di queste patologie” spiega Cristina Martinez-Labarga.
La ricerca ha messo in evidenza informazioni sorprendenti sulla migrazione umana in Eurasia occidentale durante l'Olocene, epoca in cui ci troviamo attualmente ma la cui datazione di partenza è fatta risalire a circa 12 anni fa. In particolare, sono stati sequenziati 317 genomi principalmente da campioni del Mesolitico e del Neolitico per indagare gli effetti delle migrazioni umane tra i vari continenti. Da tale ricerca sono emersi risultati scientificamente significativi.
È stata evidenziata con maggior sicurezza l’esistenza di un confine genomico già noto come la Grande Divisione e che si estendeva dal Mar Nero al Baltico. “I cacciatori-raccoglitori mesolitici presentavano notevoli differenze genetiche tra oriente e occidente di questa regione, mentre l'effetto della neolitizzazione ha comportato cambiamenti altrettanto significativi”, Mario Federico Rolfo fa riferimento ai processi di acquisizione di nuovi saperi nelle popolazioni preistoriche. “L’introduzione dell'agricoltura ha contribuito, infatti, a una sostanziale sostituzione dei cacciatori-raccoglitori in molte aree occidentali, mentre a est degli Urali si assiste a una loro persistenza in gruppi localizzati”.
Le ricerche, che comunque ancora continuano, hanno finora consentito di avere ulteriori elementi che comprovino la successiva scomparsa di questo confine genomico, verificatasi con la diffusione delle popolazioni delle steppe circa 5.000 anni fa. Ciò ha portato a una seconda maggiore trasformazione che ha interessato la maggior parte dell'Europa nell'arco di 1.000 anni.
Photo Credits Nature